MILANO METROPOLI EUROPEA

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MILANO METROPOLI EUROPEA

generosa e accogliente
Milano interno sinagoga centrale il matroneo

Milano, città milionaria, grande metropoli a livello europeo, per popolazione ebraica  seconda comunità italiana (la prima Roma). Gli ebrei poterono vivere in città solo all’inizio dell’Ottocento, prima non era permesso risiedervi per più di tre giorni. Da non perdere la visita alla Sinagoga centrale di via della Guastalla 19, alla Biblioteca-Archivio del Centro di Documentazione ebraica contemporanea di via Eupili 8, con a piano terra un piccolo oratorio di rito italiano, e il Memoriale della Shoah (Binario 21) in Piazza Edmond J. Safra 1. 

cartina Milano metropoli europea

UNA COMUNITÁ GIOVANE, OGGI COSMOPOLITA

La comunità di Milano risale all’Ottocento. In città, capitale del ducato dei Visconti, prima, e degli Sforza poi, era sempre stato concesso agli ebrei di fermarsi al massimo tre giorni consecutivi per sbrigare i loro affari. Per questa ragione essi risiedevano in località vicine, come Monza, Abbiategrasso, Melegnano, Lodi, Vigevano, Binasco, e si recavano ogni gior­no a Milano. Questo pendolarismo fu possibile fino al 1597, anno in cui furono espulsi. A partire da quel momento, e per più di due secoli, non c’è stata più presenza ebraica in città e nel ducato. Vi ritornarono all’inizio dell’Ottocento, come sezione di Mantova, unica comunità ebraica rimasta sempre in Lombardia perché sotto domini diversi. Da allora il gruppo aumentò velocemente di numero: sette nuclei familiari nel 1820, duecento persone nel 1840, settecento nel 1870. Nel 1866 Milano si staccò da Mantova e costituì un proprio “Consorzio israelitico”. Gli ebrei vi aderivano volontariamente e si impegnavano a pagare le tasse per il suo mantenimento. Nel 1890 gli ebrei erano duemila. Decisero di costruire una sinagoga di prestigio nel cuore della città, in via della Guastalla. Sostituiva il modesto oratorio di via Stampa 4, sala nella casa del rabbino Prospero Moisé Ariani. La comunità continuò a crescere. Lo sviluppo industriale attirava ebrei da tutta Italia ed Europa. Negli anni venti la Comunità aveva 4.500 persone, ottomila negli anni trenta. Per l’avvento di Hitler molti ebrei tedeschi lasciarono la Germania e si rifugiarono in Italia. Arrivarono anche ebrei italiani provenienti dal Piemonte, Marche, Toscana, Veneto. Qui le Comunità ebraiche di piccole città e campagne andarono scomparendo. Nel 1938, al momento della pro­mulgazione delle leggi razziali, gli ebrei erano dodicimila. Di que­sti, cinquemila riuscirono a fuggire in Svizzera, Palestina mandataria e Americhe. I deportati furono 896. Di questi tornarono solo cinquanta. Nell’immediato dopoguerra, il gruppo accolse i profughi scampati ai campi di sterminio e divenne importante centro di emigrazione clandesti­na verso la Palestina. A partire dagli anni cinquanta, sono arrivati gruppi di ebrei espulsi dai paesi arabi in seguito alle guerre arabo-israeliane (i più numerosi da Egitto, Siria, Libia, Libano, Iraq, Iran) e gruppi provenienti da Turchia, Romania, Bulgaria, Ungheria. Oggi vivono a Milano settemila ebrei, provenienti da quindici diversi paesi. Molti di questi hanno mantenuto riti, usi e costumi del paese d’origine e si sono organizzati autonomamen­te con proprie sale di preghiera (tredici in città con riti italiano, sefardita, sefardita-orientale, tedesco, persiano, libanese). Le nuove generazioni, milanesi di nascita che frequentano la stessa scuola ebraica dal nido alla maturità, stanno dando vita a un nuovo gruppo ebraico milanese, culturalmente omogeneo.

UNA SINAGOGA GRANDIOSA PER EBREI LIBERI

Il tempio centrale «Hechal David u-Mordechai», via della Guastalla 19, fu realizzato da Luca Beltrami, illustre e conosciuto architetto della fine dell’Ottocento. Segue il rito italiano. Il progetto, nel solco della cultura eclettica, usava elementi bizantini e arabeggianti. La sala misurava 1.150 metri quadri, con un fronte stra­da di 37 metri. All’interno lo schema a navate come quello delle chiese. L’aròn posto nell’abside della parete orientale, la tevà davanti, un pulpito e un palco per l’organo. L’architetto disegnò anche la facciata, l’unica parte dell’edificio arri­vata fino a noi. È divisa verticalmente in tre parti: la centrale, più ampia, che corrispondeva alla navata maggiore del tempio; due latera­li, alle navate minori e alle tribune laterali. La parte cen­trale arricchita da un grande arco con alla base il porto­ne principale. Sopra al portone, un loggiato con tre arcate. In alto, le Tavole della legge. Nella costruzione la Comunità non si badò a spese. Lo stato italiano prestò 75 milioni di lire, restituibili in trent’anni, metà del costo finale. La sinagoga fu inaugurata solennemente nel 1892. Nell’agosto 1943 una bomba incendiaria centrò l’edificio. La sala gravemente danneggiata. Nel 1947 la Comunità affidò la ricostruzione agli archi­tetti Manfredo D’Urbino ed Eugenio Gentili Tedeschi. Avrebbero dovuto rifare l’edificio ex novo, demo­lendo tutto, facciata compresa. Quest’ultima si salvò per l’alto costo della demolizione. Il nuovo edificio fu ultimato nel 1953. Risultò un tipico esempio di architettura “razio­nalista”.

Nel 1997 l’edificio è stato profondamente trasformato. Il volume esterno è rimasto inalterato, la facciata ripristinata, il fronte strada delimitato da una cancellata in ferro battuto e il portone centrale rifatto secondo i disegni originari di Beltrami. L’interno è stato ridisegnato da Piero Pinto e Giancarlo Alhadeff. Lumino­sità e colore sono i principali elementi. Rosso e oro dominano la sala. Oro nella parte di fondo sulla quale poggia il grande aròn e oro la balaustra che  delimita l’aròn e l’interno della cupola. Bianco il soffitto della sala. Le pareti laterali hanno disegno a bugnato, che ricorda la pie­tra grezza. Il pavimento è in marmo rosso di Trani e in perlato di Sicilia bianco. I sedili (453 a piano terra e 402 nel matroneo) in legno di fag­gio chiaro, ricoperti in tessuto rosso scuro. Le ventitrè vetrate, opera dell’artista new­yorkese Roger Selden, si presentano come un grande collage di simboli e di lettere ebraiche, ripetute con toni e forme diverse. Nel retro della sinagoga la «Scola Shapira in centro Nessim Pontremoli», anche di rito italiano, è usata quotidianamente. Ha arredi settecenteschi di Fiorenzuola d’Arda, comunità scomparsa del piacen­tino. Nel piano sotterraneo sala Jarach per conferenze e incontri e l’oratorio sefardita-orientale, con arredi di Sermide, comunità scomparsa del mantovano.

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