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La musica ha sempre accompagnato i momenti più importanti della vita religiosa: in tutte le ricorrenze liete e tristi la liturgia è cantata, senza accompagnamento di strumenti musicali. Le melodie, trasmesse oralmente, sono dif­ferenti da luogo a luogo. All’origine il canto delle sinagoghe degli ebrei italiani seguiva la tradizione romana. Poi le litur­gie si trasformarono, influenzate dall’arrivo di nuovi gruppi di ebrei sefarditi (penisola iberica e bacino del Mediterraneo) e askhenaziti (Europa centrale). Le musiche ebraiche nel tempo hanno assorbito melodie non ebraiche, come canti popolari dialettali, arie d’opera, marce e inni risorgimentali. Il rapporto con il mondo circostante è sempre stato forte: nei ghetti, a partire dalla fine del Cinquecento, si componeva musica polifonica nello stile barocco. Cantate ebraiche venivano composte in occasione di feste particolari a Venezia, Siena e Casale Monferrato e diventavano parte integrante del patrimonio musicale dell’e­poca, come quelle di Salomone Rossi (Mantova, 1570-1630), presso la corte dei Gonzaga a Mantova. A Venezia si pubblicò nel 1622-1623 una raccolta di canti polifonici sinagogali, con i salmi in ebraico.
Molto del ricco patrimonio musicale delle comunità italiane è anda­to perduto. Una parte (circa mille melodie) è stata “salvata” dal musicologo Leo Levi (1912­1982) che, in una campagna di registrazione tra il 1954 e il 1959, con la collaborazione della RAI e dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, registrò i canti sinagogali di una ventina di comunità ebraiche italiane ormai estinte. La raccolta di Leo Levi, oggi conservata a Roma (Accademia nazionale di Santa Cecilia) e a Gerusalemme (National Sound Archives, National and University Library), è stata oggetto di un intenso lavoro di cata­logazione e ricerca. Negli ultimi anni la musica klezmer, tipica dell’Europa orientale, pur non avendo radici italiane, ha avuto un particolare successo di pubblico.